Il progetto #quellavoltache: narrazioni collettive (al femminile) che funzionano

di Francesca Sanzo

 

Mi occupo di scrittura online e di narrazioni da molto tempo e in questi anni ho assistito a un netto cambio di passo nella comunicazione digitale:

le immagini e i video hanno preso il sopravvento sul testo e la narrazione che piace è fatta di stories rapide e visuali di cui fare esperienza in maniera unica per lasciarle poi dissolvere.

Interessante l’infografica che propone Web in Fermento sui trend 2018: tutto questo è visibile, specie quando viene letto in prospettiva generazionale.

Eppure il testo permette di creare un immaginario, la scrittura offre parole concrete che illuminano la nostra mente e ci fanno visualizzare percorsi, azioni, persone e relazioni.

Sono convinta che la tecnologia della scrittura non verrà mai soppiantata da altri mezzi ma sarà anzi quella che fa la differenza, valorizzando foto e video per arricchirli di un punto di vista evocativo.

 

Esistono ancora progetti di scrittura collettiva, racconti che si aggregano attorno ad hashtag e fanno vibrare le corde delle persone senza bisogno di immagini, se non quelle che ci evocano, puntuali, le parole.

Il 13 ottobre, a poche ore dalle dichiarazioni di Asia Argento riguardo alcune molestie subite 20 anni fa, la scrittrice Giulia Blasi pubblica un post sul suo blog dal titolo: #quellavoltache, cenerentola al contrario. Il post invita le donne a testimoniare:

 

#quellavoltache è un progetto narrativo estemporaneo per raccontare le volte in cui siamo state molestate, aggredite, ma anche le volte in cui ci siamo sentite in pericolo e non sapevamo bene perché, e ci davamo delle cretine per esserci messe in quella situazione. Perché il patriarcato che non ti crede è lo stesso che cerca di colpevolizzarti per quello che ti infligge.
Avete qualcosa da raccontare? Usate #quellavoltache su Twitter, Facebook, Instagram, il vostro blog, Medium, dove vi pare. Dite a tutti come vi siete sentite, cosa avete pensato, perché non avete parlato, e se avete parlato, cosa è successo poi.

L’appello di Giulia fa il giro della rete e spontaneamente, come funghi, cominciano a fiorire racconti, storie minime e massime, quasi che anche chi partecipasse fosse stupita di non avere mai riflettuto abbastanza sul fatto che una molestia resta una molestia, anche quando è “naturalizzata” nel sistema.

 

Su Twitter, #quellavoltache resta in tendenza per 3 giorni, sono circa 15mila i post pubblicati e l’onda travolge donne e uomini. C’è chi, di fronte a questa narrazione collettiva le cui protagoniste siamo noi, si sente a disagio tanto da dover fare ironia (ce n’è davvero bisogno su tutto?):

Ci sono anche donne che soppesano, puntano il dito sulle vittime, fanno distinguo, come se la denuncia repentina fosse l’unico lasciapassare dell’onestà e le ammissioni tardive significassero solo che un po’ ti andava bene, un po’ forse te la sei cercata.

 

Sdegno e narrazione: ecco le differenze

#quellavoltache è però soprattutto un’occasione di riflessione corale, un momento durante il quale la pancia fa un passetto oltre.

Ci siamo abituate alle campagne di sdegno online, quelle che bruciano tutto intorno per qualche ora e che poi dimentichiamo con la stessa velocità con cui abbiamo contribuito con post di vibrante protesta: ce ne è una che alla sottoscritta sembra paradigmatica di quanto siamo disposti a fare pur di canalizzare la nostra rabbia diffusa.

Vi ricordate della ormai famosa pubblicità dell’asteoride che cade su una mamma? A settembre si levarono scudi a difesa delle madri che – secondo alcuni – venivano crudelmente dipinte in questo spot “violentissimo”.

Ecco, in quel caso lo sdegno scorse potente nelle vene di facebook e twitter, regno degli over 30 per qualche ora, poi per fortuna lasciò spazio a nuove lotte.

 

Dal mio punto di vista, questo uso della rete non è generativo di riflessione ma serve solo a convogliare le nostre frustrazioni e a lasciarle sfogare. #quellavoltache è invece scrittura 

autobiografica che nel testimoniare esperienze, punti di vista, storie che arrivano da ogni parte del paese (l’hashtag ha un corrispettivo anglofono #metoo che ha avuto altrettanto successo) può essere l’inizio di un dibattito, contribuisce a farci sentire parte di una collettività e mette in gioco un bene sempre più raro ed effimero, l’empatia per l’altro.

 

Ora mi auguro che il dibattito conduca a una presa dicoscienza maggiore e che la presa di coscienza si trasformi in azione comune e condivisa, in piccoli gesti quotidiani per ricordarci che no, non è normale perché “così fan tutti”, subire apprezzamenti o gesti non desiderati da uomini più potenti e dovere per forza tacere.

Ora mi auguro che le storie sedimentino e che diventino humus per cambiarla davvero questa cultura: perché se le parole sono la struttura portante della comunicazione e determinano i pensieri, allora forse le parole possono contribuire a cambiare i pensieri e le azioni.

 

#quellavoltache è un hashtag narrativo e di testimonianza che continua ad essere usato e che puoi seguire su tutti i principali social network:

 

Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne: sarebbe bello, un giorno, ricordare quella volta che siamo stati tutti uniti, uomini e donne, per rivendicare il pieno rispetto tra le persone e del volere di ognuno di noi e l’ascolto, non giudicante, dell’altro.