Le interviste di Work Wide Women sul tema D&I hanno lo scopo di raccogliere testimonianze sul valore della diversity, per motivare e ispirare altre aziende a intraprendere percorsi che vadano a colmare il divario di genere.
Claudia Tondelli, Sr HR Manager di Kohler
e Responsabile Nazionale Diversity & Inclusion di AIDP
Quella per cui lavoro è una media impresa B2B a prevalente presenza maschile. In particolare mi occupo di relazioni e di supportare il business dal punto di vista dell’evoluzione organizzativa. La mia formazione ed esperienza come coach e counselor mi permettono, nel ruolo di business partner, di facilitare i processi di gestione del cambiamento sia delle persone che dell’organizzazione, anche in contesti difficili ed imprevedibili. Oltre alla responsabilità dei processi di Recruiting, Training, Talent Management, Compensation, Internal communication e CSR, da qualche anno mi sto occupando di benessere in azienda. Dal 2015 sono responsabile del coordinamento nazionale del gruppo Diversity & Inclusion di AIDP.
Mi interessa il genere umano sia da un punto di vista di dinamiche collettive che individuali. Sono particolarmente interessata al tema del genere.
Nella vita ha ricoperto vari ruoli, da formatrice a coach, ora HR Manager per una multinazionale, oltre alle attività di D&I che svolge per AIDP. Parlando del suo percorso professionale: qual è la sua esperienza diretta e che difficoltà trova (o ha trovato) con il tema D&I?
Parlando di differenza di genere, come molte donne, mi sono trovata in passato scavalcata da un uomo nonostante le promesse e le lusinghe. Purtroppo all’epoca non possedevo la consapevolezza in merito al tema delle discriminazioni che ho maturato con gli anni e con l’esperienza di azienda. L’ho vissuta come una grande ingiustizia e tempo qualche mese ho lasciato l’azienda. Oggi qualcosa sta lentamente cambiando e di certe differenze c’è maggiore consapevolezza, nonostante gli esempi di cambiamento vero sono ancora rari, si pensi alla vita politica dove donne e minoranze in ruoli chiave sono mosche bianche.
Ciò che vedo è poca preparazione al cambiamento, esistono ancora stereotipi e pregiudizi così radicati che il lavoro da fare è tanto anche laddove ci si professa illuminati.
Secondo il suo punto di vista qual è lo stato della Diversity nelle aziende oggi, in Italia e all’estero?
Credo ci siano ancora grandi differenze sul territorio. C’è il mondo delle multinazionali dove il tema è sdoganato almeno da un punto di vista formale e di campagna di comunicazione. Dove esistono anche progetti seri di integrazione come per esempio quelli relativi al mondo della disabilità che coinvolgono aziende, istituzioni e università. Esiste poi il mondo delle piccole e medie imprese dove ancora si parla di discriminazioni eclatanti, vedi il tema del diritto alla maternità e salvaguardia del posto di lavoro, per non parlare del tema del gender pay gap che è evidentemente ancora tabù nel nostro paese (indipendentemente dal tipo di organizzazione) o dell’integrazione della comunità LGBTQ. Non dobbiamo poi dimenticare che ci sono settori più sensibili ai temi della diversità e altri meno.
Parlando di estero non si può generalizzare, i paesi hanno culture così diverse che si riversano di fatto sulle politiche interne alle aziende. Manterrei anche in questo caso la differenza per tipo di azienda. solitamente le grandi aziende o multinazionali mostrano maggiore consapevolezza su questi temi perché hanno capito prima di altri che portano valore all’organizzazione e di conseguenza alla loro presenza sul mercato. Generalmente in questo tipo di organizzazioni ci sono politiche interne più stringenti e aspettative chiare sui comportamenti.
In termini di buone pratiche, cosa può fare oggi un’azienda per valorizzare le diversità e identità di genere, di orientamento sessuale, multiculturalità e disabilità?
Senza scendere troppo nel dettaglio di ogni singola diversità, consiglio, per cominciare ad impostare politiche che valorizzino le diversità, di conoscere la popolazione aziendale. L’uso degli Analytics aiuta a superare convinzioni errate e vedere la realtà di riferimento per quella che è, con le proprie particolarità e i propri bisogni. Da qui la strada per costruire politiche in linea con i valori e la valorizzazione di chi porta differenze che, ricordo, fanno comunque bene al business.
È provato che avere in azienda persone che si sentono riconosciute nelle loro particolarità e bisogni le porta a dare il massimo e ad avere un attaccamento all’azienda impagabile: noi che lavoriamo nelle risorse umane sappiamo bene cosa significa in termini di costi e di investimento preparare persone al ruolo.
Infine la coerenza tra i messaggi e le azioni che vengono intraprese è ciò che spesso suggella la riuscita di una politica di valorizzazione della diversità e dell’inclusione nel microcosmo aziendale.
Oggi le aziende sono sempre più alla ricerca di strumenti innovativi per sensibilizzare le persone verso la D&I: che cosa ne pensa dell’utilizzo della gamification per diffondere questi valori?
Credo sia un buon metodo, divertente ed efficace. Fare sensibilizzazione e formazione utilizzando al meglio la tecnologia è eccezionale. La tecnologia è il metodo che il maggior numero di persone utilizza per comunicare, lavorare, svagarsi. Quindi utilizzarla anche per sensibilizzare e formare significa avvicinarsi a ciò che gli utenti, o la maggior parte di essi, preferiscono.
Non si può ormai prescindere da un modo diverso di fare formazione, più compatibile con il nuovo metodo di lavoro improntato alla rapidità, alla interconnessione e al cambiamento in cui risulta vincente offrire un prodotto che sia fruibile nei tempi e nei modi rispettosi dei bisogni individuali, di organizzazione del lavoro e dell’equilibrio tra tempo di lavoro e tempo dedicato alla propria vita privata.
Allo stesso tempo credo che da solo questo approccio non sia sufficiente per cambiare un comportamento, se questo apprendimento non è rafforzato da esempi e politiche che permeano l’ambiente di riferimento.
Lo scorso anno ha seguito un progetto di diffusione delle tematiche di D&I nelle scuole: i ragazzi sono più emancipati rispetto agli adulti o sono già portatori di pregiudizi su cui lavorare?
Con il gruppo di lavoro D&I di AIDP abbiamo partecipato ad un progetto europeo che ci ha portato a strutturare un serius game i cui destinatari sono proprio le ragazze e i ragazzi di scuole medie e superiori orientato a superare gli stereotipi di genere. Quanto emerge dal nostro osservatorio è che i giovani e le giovani sono sì più emancipati rispetto a questi temi, ma purtroppo gli stereotipi e pregiudizi sono già parte del loro approccio al tema delle diversità. Per intervenire in modo serio e duraturo è necessario un lavoro che parta dalla scuola primaria (e se possibile ancora prima) e dai genitori che spesso sono i principali portatori di questi stereotipi e il più delle volte in modo inconsapevole.
Sappiamo tutte e tutti bene che a volte pur essendo consapevoli rimaniamo prigioniere e prigionieri dei nostri pregiudizi e che sforzo mettersi da un altro punto di osservazione!
Come pensa che possa evolvere lo scenario della D&I nei prossimi anni?
Credo ci sia molta strada da fare, e non solo sul genere. Ci sono altri tipi di diversità di cui si parla ancora poco come la disabilità o il tema LGBTQ, quindi non bisogna abbassare la guardia, pensando che siano argomenti del passato e non riguardino più le giovani generazioni. C’è un tema legato al potere che purtroppo permea tutto ciò che riguarda l’inclusività. Chi detiene il potere nelle aziende così come nella politica ha un forte ascendente sulla possibilità o meno di portare cambiamento. Fino a che in quelle posizioni non ci sarà diversità purtroppo non ci sarà vero cambiamento in nessun altro ambito.