La rinuncia di Meta, Amazon, Harley Davidson e altre aziende alle politiche DEI: facciamo chiarezza

articolo a cura di Linda Serra CEO di Work Wide Women

Già nell’estate 2024 rimbalzava, soprattutto sulle testate americane, la notizia che alcune aziende USA stavano cancellando o ridimensionando il proprio impegno nei programmi di Diversità, Equità e Inclusione (DEI). Sui titoli del New York Times o del Washington Post comparivano, proprio come sui nostri quotidiani nazionali di questi giorni, i nomi delle aziende (sempre le stesse) che stavano rinunciando alle proprie strategie DEI. Da qualche giorno, anche qui in Italia e in tutto il mondo, rimbalza ovunque la notizia che Meta rinuncia ai propri programmi di DEI perché ritenuti discriminatori verso la grande maggioranza delle persone.

L’attacco alle politiche DEI e le sue origini

Ma facciamo un passo indietro. Cosa è successo la scorsa estate?
In piena campagna elettorale un noto, ma non notissimo, influencer di ultra destra Robby Starbuck, conosciuto per i suoi cortometraggi e le campagne contro la comunità LGBTQIA+, lancia un video di 8 minuti in cui attacca l’azienda Tractor Supply dicendo che: “L’azienda ha appeso bandiere del Pride in un centro di distribuzione. Ha offerto pari assistenza sanitaria alle persone transgender. Ha sponsorizzato un evento Pride vicino alla sua sede centrale a Brentwood, Tennessee. Ha fornito formazione su Unconscious Bias a 40mila dipendenti. Ha pagato 50 dollari ai dipendenti che hanno ricevuto il vaccino Covid”. Così, Robby Starbuck inizia a boicottare apertamente l’azienda, che di fatto annuncia di ritirare i suoi obiettivi sulla DEI (per approfondire: The New York Times).

Da lì in poi, un gruppo indipendente di conservatori che si fa chiamare National Center for Public Policy Research – alcuni dei componenti siedono nei cda di alcune delle aziende che per prime hanno rinunciato alla DEI – incomincia a porre sul piatto la questione della discriminazione dei programmi DEI e la potenziale violazione del quattrodicesimo emendamento della Costituzione americana.

La meritocrazia è compatibile con le politiche DEI

Il principio di “Equal Protection Cause” garantisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e la Corte Suprema degli USA vi si è appellata, nel 2023, per dichiarare illegittimi e discriminatori alcuni programmi di ammissione di ragazzi e ragazze appartenenti a minoranze culturali in alcuni college. 

Robby Starbuck, insieme al suo gruppo di azionisti, solleva la questione della possibilità di avviare una grande class action contro le aziende inclusive che adottano programmi di DEI. Secondo loro, queste politiche violerebbero il principio di equità che affermano di promuovere, creando discriminazioni a scapito della meritocrazia.

Ora, chiedo venia se puntualizzo l’ovvio, ma mi preme fare chiarezza non tanto sul principio di equità, quanto sul suo rapporto con la meritocrazia. 

Possiamo, infatti, parlare di meritocrazia quando le persone in pipeline per una posizione lavorativa, o un incarico di prestigio, si trovino con certezza nella stessa posizione e nella medesima condizione personale, professionale di background. Quando queste condizioni sussistono, certamente l’unico principio che deve guidare la scelta verso l’una o l’altra persona devono essere guidate dal principio meritocratico. Ma se queste condizioni non sussistono, e in pipeline troviamo sempre lo stesso stereotipo di persona, è esattamente qui che le politiche inclusive giocano il proprio ruolo a garanzia per tutte le persone, a prescindere dal genere di appartenenza, al proprio background culturale, il proprio orientamento affettivo e sessuale, garantendo una equa condizione di partenza per usufruire delle medesime opportunità. 

Meglio di tante parole un video del 2019 in cui Fanpage.it fece davvero la differenza, e che può essere esteso a tutte le linee di diversità.

Un’altra precisazione doverosa riguarda gli obiettivi delle politiche di DEI, che non sono introdotte per assumere persone LGBTQIA+ o disabili o persone di un determinato genere a scapito di altre persona; ma puntano a creare un ecosistema aziendale capace di valorizzare tutte le persone, non segregando quelle che non aderiscono agli stereotipi cisgender, abilisti, culturali e di genere.

Un modello di business inclusivo, inoltre, è capace di creare valore e impatto positivo per tutte le persone che danno vita all’azienda, creando un clima positivo e più profittevole (si stima che un’azienda che applica politiche inclusive fatturi +23% rispetto a una che non lo fa (Fonte: Diversity [diversitylab.it]) e per tutte le persone sul mercato, offrendo servizi e prodotti che rispondono alle aspettative di consumatori e consumatrici sempre più consapevoli, intersezionali e demanding.

Parlare di meritocrazia in generale e superficialmente non fa altro che richiamare una visione non equa e non realistica della nostra società, in cui si chiede a persone che non partono dalla stessa posizione, di competere allo stesso livello di performance, senza che nessuno si preoccupi di creare le condizioni per mettere le persone sullo stesso livello.

Il caso della rinuncia alla DEI di Meta e il rischio di normalizzare l’odio

Negli stessi giorni, dopo aver rinunciato ai propri programmi DEI, Meta annuncia anche un cambio della Policy delle online community nelle quali si legge quanto segue:

La politica aggiornata, tuttavia, include una nuova eccezione: “Consentiamo accuse di malattia mentale o anormalità quando basate sul genere o sull’orientamento sessuale, dati i discorsi politici e religiosi su transgenderismo e omosessualità e l’uso comune non serio di parole come “strano.

(Fonte: People Magazine)

A coronare questo “capolavoro”, il CEO di Meta annuncia che, in nome del principio di libertà di espressione, sarà eliminato il fact checking e Meta restringerà il proprio protocollo di controllo di moderazione dei contenuti fino a poco fa affidati ad aziende terze. Sarà quindi possibile mettere in circolazione tutte le teorie più discriminatorie, le fake news più atroci e così via, pur di fomentare odio nei confronti delle persone che non rappresentano il paradigma di maggioranza.

Saremo liberə di insultare le donne, le persone LGBTQIA+ o quelle disabili o nere senza possibilità di chiedere moderazione o eliminazione dei contenuti…

In serata arriva una bellissima conferma per me, che sono da sempre un Apple fan: anche in Apple i signori del National Center for Public Policy Research hanno chiesto agli azionisti, sempre basandosi sulle stesse motivazioni, di votare contro i programmi DEI. Ma Apple ha rifiutato la proposta perché ritenuta inappropriata dichiarando che:

Apple è un datore di lavoro con pari opportunità e non discrimina nel reclutamento, nell’assunzione, nella formazione o nella promozione su qualsiasi base protetta dalla legge.

(Fonte: Tech Crunch)

Attenzione, allora, a fare da eco a questa pericolosa tendenza e a rivedere i nostri principi solo perché alcuni imprenditori che sono sotto scacco (per i più svariati motivi) da parte di un gruppo di azionisti di estrema destra, stanno facendo notizia. 

Riprendendo questo tipo di logica, non facciamo altro che cadere in un enorme tranello che, come sempre fanno le correnti di destra, pone i gruppi più deboli come problema che toglie diritti o opportunità alle maggioranze, distorcendo il principio democratico secondo cui, la maggioranza in quanto tale e in quanto gruppo forte, deve assolutamente prodigarsi per garantire pari opportunità e equo accesso ai servizi, e pieno godimento dei diritti alla fasce più deboli di cui ha il dovere di prendersi cura. 

Perché le politiche DEI sono indispensabili

In un momento in cui c’è una recrudescenza dei sentimenti di odio e divisione, in un anno che è iniziato con cinque aggressioni omofobe nei primi sei giorni del 2025, è una responsabilità di noi tuttə – cittadinə, imprenditorə, persone con alta visibilità e alto seguito – di portare avanti, sempre e con orgoglio, la ragione delle persone più deboli, che si trovano ai blocchi di partenza cariche di zavorre, a competere con chi parte con le ali ai piedi.

Ricordiamo, inoltre, che se le destre plaudono all’abbandono dei programmi inclusivi delle aziende, vuol dire che tali programmi sono efficaci e che le aziende sono veicoli di cambiamento e impatto e come tali la loro indipendenza dai giochi politici va tutelata. 

Come ci dice Julie Kratz nel suo recente articolo su Forbes:

La DEI è a un punto di svolta. Il pendolo ha oscillato duramente negli ultimi anni, con una reazione che ha raggiunto il picco nel 2022-2023 e si è stabilizzata nel 2024. Questa scossa ha separato coloro che prendono sul serio la DEI da coloro che erano performativi. La maggior parte delle aziende sta svolgendo silenziosamente il lavoro sulla DEI con meno pubblicità.

Nel corso degli anni, come società che si occupa esclusivamente di implementare politiche DEI e sviluppare cultura inclusiva nei contesti organizzativi, abbiamo potuto constatare con grande piacere quale sia l’impatto dell’applicazione delle politiche inclusive nei contesti lavorativi e come tutto ciò che l’azienda fornisce in termini di contenuti volti a creare cultura, abbia un concreto impatto positivo all’interno dell’organizzazione, sia per le persone strettamente interessate, sia per le persone a loro vicine. Soprattutto, è importante come la cultura inclusiva che si costruisce in azienda sia estesa in modo naturale alle famiglie, al network di amici e ai circuiti che le persone abitano quotidianamente.

L’importanza delle politiche DEI risiede nell’opportunità di creare cultura inclusiva e di influenzare positivamente i modelli culturali basati sul privilegio di poche persone, dato per assunto da convinzioni arcaiche e non più sostenibili. Continuare a diffondere cultura positiva e coltivare valori basati sul rispetto e sulla dignità delle persone, accelera un processo irreversibile e sempre più evidente: quello di un’umanità più consapevole dei propri diritti e sempre più determinata a reclamarli con fermezza. Noi, come aziende, abbiamo il privilegio di partecipare a questo processo e la responsabilità di portarlo avanti.

Iscriviti alla nostra Newsletter per ricevere gli ultimi aggiornamenti su Diversity, Equity & Inclusion in Italia e nel mondo: eventi, aziende, progetti, formazione, approfondimenti e risorse gratuite per il mondo della DEI.