
Ogni anno il 10 Ottobre, in occasione del World Mental Health Day, il mondo è invitato a riflettere su quanto la salute mentale sia fondamentale non solo per chi soffre, ma per intere comunità e ambienti di lavoro.
In ambito lavorativo, il legame è evidente: depressione e ansia causano circa 12 miliardi di giorni lavorativi persi e un impatto stimato di 1 trilione di dollari in perdita di produttività (Fonte: World Health Organization).
Le condizioni lavorative – carichi eccessivi, discriminazioni, mancanza di controllo sul lavoro – sono fattori di rischio reali per la salute mentale.
Il divario di genere nel benessere mentale
Dati europei mostrano che le donne riportano livelli inferiori di benessere mentale rispetto agli uomini: ad esempio, nell’indice WHO-5 (che misura l’autovalutazione dello stato mentale), la media europea è circa 66 punti per gli uomini e 62 per le donne.
A parità di condizioni – età, reddito o status familiare – le donne dichiarano più spesso di sentirsi stanche, sopraffatte o prive di energia positiva. Il divario è costante in quasi tutti i Paesi europei e riflette il peso cumulativo di disuguaglianze sociali, carichi di cura e minore riconoscimento professionale.
A livello globale, le donne presentano quasi il doppio di prevalenza rispetto agli uomini per disturbi d’ansia e depressione. Donne che lavorano a tempo pieno risultano quasi due volte più vulnerabili a problemi di salute mentale rispetto ai colleghi maschi. A ciò si aggiunge il “carico mentale invisibile” – organizzare, pianificare, preoccuparsi di… – che ricade sproporzionatamente sulle donne.
Salute mentale e intersezionalità
Ma considerare solo la dimensione di genere non è sufficiente: è fondamentale guardare il fenomeno dal punto di vista dell’intersezionalità, prendendo in considerazione che persone che attraversano molteplici identità marginalizzate (donne nere, donne lesbiche, uomini gay neri, persone LGBTQIA+, donne migranti) affrontano stress cumulativi aggiuntivi legati a discriminazioni razziali, sessuali, culturali o sociali.
Studi dimostrano che le microaggressioni, la paura di non essere accettatə, l’isolamento, la sotto-rappresentazione aggravano il rischio di burnout, ansia e senso d’estraneità. Ad esempio, le persone LGBTQIA+ segnalano tassi più alti di stress quotidiano legato alla paura di non poter essere apertamente sé stessə sul lavoro.
In un’azienda che vuole essere sana e lungimirante, l’inclusione non è un optional: è una strategia di benessere collettivo. Quando le persone si sentono viste e riconosciute, la pressione sociale interna diminuisce, la creatività fiorisce e si costruisce coesione. Secondo un sondaggio, il 91% delle persone dipendenti ritiene che le aziende debbano dare priorità al benessere psicologico.
Ecco qualche leva concreta:
- • Politiche che vanno oltre la “tolleranza”: programmi di equità attiva, formazione anti-bias, spazi di dialogo e E.R.G (Employee Resource Group)
- • Supporti dedicati alla salute mentale (counselling, coaching, piattaforme digitali) accessibili a tutte le persone.
- • Flessibilità reale e condivisione nei carichi di cura, con sostegno alle responsabilità familiari.
- • Meccanismi trasparenti per far emergere e correggere disparità salariali e discriminazioni interiorizzate.
In questa giornata del World Mental Health Day 2025 , ricordiamo che parlare di salute mentale significa parlare di equità e benessere. Le aziende che investono in inclusione non solo curano le persone, ma proteggono il proprio presente e il proprio futuro.
Se vuoi approfondire questi temi nella tua azienda, contattaci.
